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Nel porto di Rimouski, lungo le due banchine deserte e la fila dei magazzini, l'alba era silenziosa e desolata e l'aria immobile, senza un alito di vento, contribuiva ad aumentare il senso di squallore. Era troppo presto perché l'animassero i portuali, le strida incessanti dei gabbiani e il rumore delle locomotive diesel che trainavano i mercantili non ancora scaricati fino al vicino approdo della zona industriale. Legato alla bitta di una banchina c'era il rimorchiatore che soltanto poche ore prima aveva trascinato su e giù per il fiume, accanto all'Ocean Venture, una chiatta vuota. Era solcato da strisce rosse di ruggine e l'usura trentennale di un continuo impiego era evidente sullo scafo robusto. Un raggio di luce trapelava dagli oblò della cabina del comandante, situata direttamente sotto la timoniera, e si rifletteva smorzato sull'acqua scura.
Shaw controllò il suo orologio da polso e spinse un minuscolo interruttore su uno strumento con l'aspetto di un calcolatore tascabile. Chiuse un attimo gli occhi, riflettendo, e poi incominciò a schiacciare una serie di pulsanti.
Non più come ai vecchi tempi, quando un agente segreto era costretto a nascondersi in una soffitta e a sussurrare piano nel microfono d'una radiotrasmittente, pensava. Ormai i segnali numerici venivano trasmessi via satellite a un computer che si trovava a Londra. Là provvedevano a decifrare il messaggio e a inviarlo a destinazione grazie a un sistema di trasmissione ottica.
Terminata l'operazione, l'agente segreto britannico depose lo strumento elettronico sul tavolo e si rizzò per stiracchiarsi. I muscoli gli si erano irrigiditi e la schiena gli doleva: l'implacabile avanzare dell'età. Tolse dalla valigia la bottiglia di Canadian Club acquistata all'arrivo nell'aeroporto di Rimouski. I canadesi lo chiamavano whisky, ma al palato degli inglesi pareva ben poco diverso dal bourbon americano. Secondo Shaw, berlo a temperatura ambiente era da rozzi primitivi - solo gli scozzesi lo mandavano giù tiepido -, ma i rimorchiatori decrepiti, come quello su cui si trovava, erano privi di quella comodità moderna chiamata frigorifero.
Si mise a sedere e accese una sigaretta della sua marca speciale. Qualcosa almeno del passato gli restava ancora. Tutto ciò di cui soffriva la mancanza era una compagna amorosa. C'erano volte in cui, con la sola compagnia di una bottiglia e dei ricordi, rimpiangeva di non aver ripreso moglie.
Lo distolse dalle fantasticherie il lampeggiare silenzioso del piccolo dispositivo posato sul tavolo. Una strisciolina di carta larga appena sei millimetri incominciò a uscire subito dopo da un'estremità. Miracolo d'una tecnologia avanzata, che non cessava mai di divertirlo. Inforcò un paio di occhiali da presbite - altra maledizione della vecchiaia incipiente - e si mise a studiare i microscopici caratteri. Il testo completo era lungo quasi mezzo metro... Finito di leggerlo, si tolse gli occhiali, spense il minuscolo terminale e se lo rimise in tasca.
«Le ultime notizie dalla cara vecchia Inghilterra?»
Shaw alzò gli occhi e vide Foss Gly inquadrato sulla soglia.
L'uomo non accennava a entrare, ma si limitava a fissare l'altro con le sopracciglia inarcate interrogativamente e uno sguardo che richiamava l'immagine d'uno sciacallo che annusa l'aria.
«Semplicemente la conferma d'aver ricevuto il mio rapporto su quanto lei ha potuto osservare», rispose, in tono indifferente. Incominciò ad arrotolarsi oziosamente la strisciolina di carta intorno all'indice.
Gly si tolse la muta termica per infilarsi un paio di calzoni di tela grezza e un pesante maglione dal collo alto. «Sto ancora rabbrividendo. Qualcosa in contrario, se mi bevo un cicchetto dalla sua bottiglia?»
«Si serva pure.»
Il killer ingollò un mezzo bicchierone di Canadian Club in due sorsate, facendo ricordare a Shaw l'enorme orso ammaestrato che una volta aveva visto tracannare un secchio colmo di birra chiara ad altissima gradazione alcolica.
Gly emise un lungo sospiro. «Mi sembra di essere ridiventato quasi umano.»
«Secondo il mio calcolo, la sua fase di decompressione è durata cinque minuti meno di quanto prescritto», prese a dire Shaw, tanto per parlare.
«Non avverte il minimo disturbo?»
L'uomo allungò la mano come per versarsi un altro bicchiere di whisky.
«Soltanto un leggero formicolio e niente di più...» Con mossa fulminea tese il braccio oltre il tavolo e afferrò il polso di Shaw, serrandolo in una stretta di acciaio. «Quel messaggio non si riferiva per caso a me, paparino?»
Shaw s'irrigidì, mentre le unghie gli penetravano nella carne. Posò saldamente i piedi sul pavimento, con l'intenzione di buttarsi giù dalla seggiola, all'indietro. Ma Gly indovinò quello che intendeva fare.
«Niente scherzi, paparino, o altrimenti ti spacco l'osso.»
Shaw fu scosso da un tremito. Non di paura. Di rabbia, per essersi lasciato cogliere alla sprovvista.
«Lei si sta sopravvalutando, ispettore Gly. Per quale motivo il servizio segreto britannico dovrebbe occuparsi della sua persona?»
«Mi scusi tanto», sogghignò Gly, beffardo, senza allentare la stretta.
«Ma io sono un individuo sospettoso e i bugiardi mi fanno imbestialire.»
«Un'accusa volgare nata da una mente volgare», replicò Shaw, riprendendo il proprio equilibrio. «E dato che conosco la fonte, non mi aspettavo niente di diverso.»
Gly storse le labbra. «Parole astute, superspia. Supponiamo che lei neghi di essersi messo in contatto col suo capo di Londra e di aver ricevuto la conferma due ore fa.»
«E se le dichiaro che si sbaglia?»
«No, non glielo consiglio. Ho scambiato due chiacchiere col dottor Coli nella cambusa. La sua memoria funziona così male da farle dimenticare che è stato lui ad aiutarla a redigere il suo rapporto su quel piccolo aggeggio degli americani? E dimentica pure che lei vi aggiunse un poscritto, dopo che Coli se ne fu andato? La richiesta d'informazioni complete su Foss Gly? Lo sa lei e lo so io. E la risposta ce l'ha lì, in mano.»
La trappola si era spalancata e Shaw c'era cascato dentro. Imprecò tacitamente contro se stesso, per aver fatto ricorso a una menzogna così trasparente. Era sicuro che l'orribile personaggio di là dal tavolo non avrebbe esitato ad ammazzarlo se solo gliene avesse offerto l'occasione. La sua unica speranza consisteva nel tenere a bada l'avversario, tirandola per le lunghe in maniera da sbalestrarlo. Tentò un colpo a casaccio.
«Il signor Villon mi aveva accennato, incidentalmente, che lei si sarebbe potuto manifestare per un carattere instabile. Ho fatto male a non credergli sulla parola.»
Dallo sguardo collerico che lampeggiò negli occhi spalancati dell'altro, Shaw s'accorse d'averlo toccato nel vivo. Perciò seguitò a versare sale sulla ferita. «Se non sbaglio, mi pare che abbia impiegato perfino il termine 'psicopatico'.»
La reazione di Gly non fu quella prevista; anzi, fu esattamente l'opposto.
Invece di esprimere una fredda collera, la faccia dell'uomo s'illuminò di colpo. Lasciò andare il polso di Shaw e si rimise seduto. «Quindi quella miserabile canaglia ipocrita mi ha pugnalato alla schiena», borbottò. «Avrei dovuto immaginare che si sarebbe fatto in quattro per scombussolare il mio piano.» Tacque e lanciò un'occhiata strana a Shaw. «Adesso capisco tutto. Adesso capisco perché mi ha sempre mandato a fare il suo sporco lavoro sott'acqua. E a un certo punto doveva intervenire lei, perché io annegassi opportunamente, per un caso fortuito e malaugurato.»
Shaw, perplesso, non sapeva che dire. Il discorso non prendeva la piega che si era proposto. Non comprendeva nel modo più assoluto di che diamine stesse parlando Gly. Non gli restava altro che continuare a tenerlo sulla corda. Si sfilò cautamente il messaggio arrotolato sul dito e lo lasciò cadere sul tavolo davanti a Gly, scrutandolo in faccia. Non colse altro che una brevissima occhiata scoccata verso il basso. Ma gli fu sufficiente.
«Quello che m'imbarazza è il fatto che lei sta rischiando la vita per un governo e per un uomo che la vorrebbero morto.»
«Può darsi che mi vada di farlo per il bene della società.»
«Le spiritosaggini non le si addicono, ispettore dei miei stivali.»
«Quanto le ha rivelato di me il signor Villon?»
«Non si è dilungato granché», rispose Shaw, schiacciando il mozzicone della sigaretta nel posacenere e notando che gli occhi dell'altro seguivano il movimento. «Mi ha soltanto lasciato capire che avrei fatto un favore al Canada liberandolo della sua presenza. Ma io, per dirla tutta, non me la sentivo di sostenere il ruolo dell'assassino prezzolato, tanto più che ignoravo il motivo per cui lei meritava di morire.»
«Che cos'è che le ha fatto cambiare idea?»
«Me l'ha fatta cambiare lei.» Shaw si accorse d'aver suscitato un interesse assai vivo nell'altro, però non avrebbe saputo dire dove e come sarebbe sfociato. «Ho incominciato a studiarla. Lei parla un franco-canadese impeccabile ma, per quanto riguarda l'inglese, è tutt'altro paio di maniche. Non la pronuncia, badi bene, ma il gergo, certi termini che sono tipicamente ed esclusivamente americani. La mia curiosità ebbe il sopravvento e chiesi a Londra di eseguire un controllo sui suoi precedenti. La risposta è qui sul tavolo. Lei merita di morire, signor Gly. Nessuno al mondo lo merita più di lei.»
Il volto di Gly si fece minaccioso, con un digrignare di denti che sotto la luce smorta della cabina mandarono un bagliore giallastro. «E lei, paparino, pensa d'essere l'uomo capace di farmi fuori?»
Shaw si afferrò con le mani all'orlo del tavolo, chiedendosi come Gly si proponeva di ucciderlo. Senza dubbio si sarebbe servito di un coltello, o di una pistola col silenziatore, perché il rumore d'uno sparo avrebbe subito richiamato nella cabina Coli e l'equipaggio del rimorchiatore. Gly se ne stava seduto con le braccia conserte, di fronte a lui. Era calmissimo, in apparenza sin troppo rilassato.
«Non c'è più bisogno che me ne occupi io. Il signor Villon ha cambiato idea, decidendo di consegnarla alla polizia.»
Shaw s'accorse immediatamente d'aver compiuto un passo falso. Lo poté leggere in faccia a Gly.
«Ben giocata, paparino, però ha fatto cilecca. Villon non si può permettere di lasciarmi in vita. Sa che lo potrei far finire dietro le sbarre fino alla prossima era glaciale.»
«Lo dicevo giusto per tastare il terreno. Il rapporto che mi è arrivato non riguarda lei, ma Villon. Lo legga», concluse, accennando col capo al foglietto, con simulata indifferenza.
Gly scoccò di nuovo un'occhiata verso il basso.
Shaw, con una torsione in cui mise tutta la sua forza, si gettò contro il tavolo e lo spigolo colpì l'altro come un ariete, poco sopra la cintola.
L'unica reazione di Gly fu un aspro grugnito, ma per il resto incassò la botta ritraendosi a malapena. Qualsiasi altro uomo sarebbe ruzzolato per terra contorcendosi dal dolore. Lui, invece, afferrò una gamba del tavolo di quercia massiccia e lo sollevò senza sforzo verso il soffitto.
Shaw era sbalordito. Il mobile doveva pesare almeno settantacinque chili.
Gly lo riabbassò lentamente, lo depose a terra con la facilità con cui una bambina avrebbe adagiato la bambola nella carrozzella e si alzò in piedi.
Shaw afferrò allora la propria seggiola e la scaraventò, facendole compiere un arco, contro il falso ispettore, ma quello fu pronto a prenderla a mezz'aria, evitando l'impatto, e la ricollocò tranquillo accanto al tavolo.
Non c'erano né collera né ferocia nei suoi occhi mentre fissavano imperturbabili Shaw, ritto in piedi a neppure un metro da lui.
«Ho una pistola», disse Shaw, lottando per impedire che la voce gli uscisse alterata.
«Sì, lo so», rispose Gly, con un ghigno satanico. «Una patetica vecchia Beretta calibro 25. L'ho trovata nascosta in uno stivale accanto alla sua cuccetta. Ed è ancora là. Me ne sono accertato prima di entrare qua dentro.»
Shaw comprese che l'altro non gli avrebbe sparato né lo avrebbe accoltellato, bensì liquidato a mani nude. Facendosi forza per reprimere l'ondata di angoscia, Shaw tentò di sopraffarlo con una delle mosse più efficaci di judo. Sarebbe stato lo stesso se avesse colpito con le dita del piede un tronco d'albero. Gly si scansò di lato e neutralizzò il colpo diretto contro le reni, assorbendolo sul fianco. Avanzò senza prendere la precauzione di coprirsi, con l'espressione di assoluta indifferenza del macellaio quando si accosta di lato al bue che deve abbattere.
Shaw indietreggiò finché non sentì contro la schiena l'appoggio di una paratia, cercando disperatamente un'arma qualsiasi, una lampada, un libro, non importava che cosa, in grado di rallentare l'impeto di quel quintale di muscoli. Ma le cabine dei rimorchiatori sono costruite per una vita spartana. Tranne un'oleografia inchiodata a un pannello, non c'era nient'altro da afferrare. Shaw premette l'uno contro l'altro i palmi delle mani e li abbatté di taglio, come una falce, su un lato del collo di Gly. Ma fu - e se ne rese conto con disperata certezza - l'ultima chance: e infatti fu come se avesse colpito un muro di cemento. Ansimando per lo sforzo e per il dolore, gli parve d'essersi fratturato le ossa delle mani.
Gly, senza dimostrare di aver risentito minimamente dell'attacco, circondò col suo braccio massiccio la schiena di Shaw, all'altezza della vita, e incominciò a stringere, mentre con l'altro avambraccio gli esercitava una crescente pressione sul petto. La duplice morsa si faceva sempre più implacabile. Shaw si andava piegando via via all'indietro.
«Addio, cretino d'un inglese.»
Shaw strinse i denti per la sofferenza che gli si diffondeva tormentosamente in tutte le membra. Boccheggiava, con i polmoni strizzati; il sangue gli batteva martellando nelle tempie, i contorni della cabina già gli si oscuravano davanti agli occhi. Tentò di lanciare un ultimo grido attraverso i denti serrati, ma ne uscì un suono smorzato. Non avvertiva più nulla, tranne l'insopportabile dolore alla schiena che era sul punto di spezzarsi. La morte... unico sollievo.
Da lontano, da una distanza imprecisata che pareva di chilometri e chilometri, percepì il suono di un forte schianto e pensò che fosse la fine. La pressione implacabile si allentò e la sofferenza diminuì di parecchi gradi.
Completamente svuotato, si afflosciò sul ponte. Si chiese vagamente che cosa sarebbe avvenuto. Un lungo cammino attraverso un tunnel buio prima di raggiungere una luce abbagliante? Era quasi deluso di non sentire una musica. Poi incominciò a riconoscere, distinguendole, le proprie sensazioni. Lo colpì, come un fenomeno strano, il fatto di avvertire ancora i dolori.
Gli facevano male le costole e gli pareva che la spina dorsale fosse arsa da un mare di fiamme. In preda all'apprensione, aprì gli occhi, ma gli ci vollero alcuni secondì prima che riuscisse a mettere a fuoco lo sguardo. I primi oggetti che distinse furono due stivaletti da cowboy. Sbatté le palpebre, ma gli stivaletti erano sempre là: di vitello, ricamati ai lati, col tacco alto e la mascherina appuntita. Girò la testa e vide sopra di sé una faccia solcata da rughe, con un paio d'occhi che parevano sorridere.
«Lei chi è?» mormorò.
«Pitt. Dirk Pitt.»
«Strano, non somiglia per niente al diavolo.» Shaw non aveva mai dubitato che alla fine si sarebbero trovati l'uno di fronte all'altro.
Sorrisero anche le labbra. «Ce n'è più d'uno che non condividerebbe il suo giudizio.» Inginocchiandosi, Pitt passò un braccio sotto le spalle dell'uomo accasciato. «Qua, lasci che l'aiuti, paparino.»
«Dio buono! Come vorrei che la gente la smettesse di chiamarmi paparino», borbottò Shaw, irritato.